Alla ricerca dell’Eden: la Porta di Persia

Dei tanti difetti che il film Alexander di Oliver Stone si porta dietro, non ultimo l’aver impiegato Raz Degan per rappresentare il re persiano Dario III, uno dei più significativi è l’aver compresso in una mezz’ora scarsa l’intera campagna di Persia di Alessandro. Ad eccezione della Battaglia di Gaugamela, i quasi dieci anni di guerra in Medio Oriente vengono praticamente ignorati. Niente assedio di Tiro o di Gaza, non un accenno alla fondazione di Alessandria o alla presa di Babilonia. A guardare il film si è quasi tentati di credere che non ci sia stata resistenza per Alessandro.

Eppure resistenza ci fu. Gaugamela fu una sconfitta disastrosa per i persiani, ma non fu l’ultima battaglia né tantomeno la più decisiva.

L’anno è il 330 a.C. Dopo la rotta di Gaugamela, Dario si è ritirato ad Agmadana (moderna Hamadan, nel nord-ovest dell’Iran) per cercare di riformare un esercito. Alessandro è intenzionato a catturarlo ma, non sapendo in quale direzione muoversi, decide di marciare verso la capitale cerimoniale dell’impero, Persepolis. Per farlo deve attraversare gli Zagros, l’immensa catena montuosa che segna il confine tra Iran e Iraq e che all’epoca divideva la Persia vera e propria dal resto dell’impero a ovest. Siamo in inverno e la maggior parte dei valichi sono bloccati dalla neve. L’unico praticabile per l’esercito macedone è quello attraverso cui passa la Strada Reale, una grande strada lastricata fornita di stazionamenti che corre attraverso tutto l’impero, dall’Asia Minore all’Arachosia (moderno Afghanistan).

Il passo è oggi noto semplicemente come Tang-e Meyran (Valle del Meyran, il fiume che scorre nelle vicinanze), ma nelle fonti greche e romane viene chiamato Porta di Persia. Il tratto iniziale è molto largo e piano, tanto da permettere all’esercito di Alessandro di percorrerlo in formazione allargata, ma man mano che si prosegue diventa sempre più stretto. Nel punto cruciale è poco più largo di una gola, circondato da alti rilievi. È qui che Ariobarzane, satrapo e generale persiano, dispone il campo e la sua imboscata. Sa che Alessandro deve essere bloccato, e non esiste luogo migliore di questo.

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La Porta di Persia vista da una delle alture. Fonte: livius.org.

Le fonti non concordano sulle dimensioni delle forze in campo. Per quelle macedoni si stimano dai 14000 ai 17000 uomini, mentre per i persiani gli storici Curzio Rufo e Arriano oscillano tra i 25000 e i 40000. Cifre esagerate se si considerano le recenti sconfitte militari e la leva forzata che Dario sta organizzando più a nord. Stime più prudenti calcolano tra i 700 e i 2000 uomini, più la massa di attendenti al seguito dell’esercito.

Rassicurato dal terreno dolce, Alessandro non invia esploratori a controllare il valico. O se lo fa, questi vengono catturati dai persiani e non fanno ritorno. L’esercito macedone, con in testa l’avanguardia del generale Parmenione, marcia attraverso il primo tratto senza aspettarsi un attacco. Il sole che si riflette sulla neve abbaglia i soldati. Sulle alture si muovono sagome indistinte, ma i macedoni pensano che si tratti della popolazione locale in fuga. È quando giungono nel punto più stretto, largo a malapena un paio di metri, che i persiani attaccano, facendo rotolare grossi massi giù dai pendii e bersagliando gli elleni con frecce, sassi e giavellotti. Il terreno accidentato e scivoloso ostacola la ritirata e interi reggimenti vengono annientati. Nella fuga Alessandro è costretto ad abbandonare i propri morti senza poter dar loro sepoltura.

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Il punto più stretto della Porta di Persia così come appare oggi. Fonte: Wikimedia Commons.

Ariobarzane tiene Alessandro in scacco per un mese. Complici le forti nevicate e la totale ignoranza del territorio da parte dei macedoni, ogni assalto si rivela vano. Lo stallo viene risolto solo grazie ad alcuni pastori persiani fatti prigionieri, che rivelano l’esistenza di un passaggio grazie al quale è possibile passare al largo degli accampamenti nemici e prenderli alle spalle. Un espediente analogo a quello usato proprio dai persiani cento anni prima alle Termopili. Lo scontro finale è cruento perché i persiani, ormai circondati, non hanno alcuna intenzione di arrendersi. Così lo descrive Curzio Rufo:

…combatterono una battaglia memorabile… Disarmati come erano, presero gli uomini armati con le braccia e li trascinarono a terra… pugnalarono la maggior parte di loro con le loro stesse armi.

Sul campo rimangono pressoché tutti i persiani e circa un quarto dell’esercito macedone.

Sulla fine di Ariobarzane le fonti sono discordanti. Secondo Arriano si ritirò verso Persepolis e, trovando le porte sbarrate dal nobile Tiridate, si lanciò con i suoi  cavalieri contro i macedoni che stavano avanzando. Diodoro Siculo invece afferma che lui e la sorella Youtab morirono combattendo fianco a fianco alla Porta di Persia. Quale che sia stato il suo destino, il generale viene oggi ricordato come uno dei pochi che riuscirono a opporsi all’avanzata di Alessandro.

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Statua di Ariobarzane a Yasuj. Fonte: Wikimedia Commons.

2 risposte a "Alla ricerca dell’Eden: la Porta di Persia"

  1. Alessandro Magno è probabilmente il mio personaggio storico preferito. In genere uno che vince sempre (pur se con delle stasi, come evidenziato qui) non sta simpatico, ma nel suo caso si fa un’eccezione. Il fascino che esercita ancora oggi è considerevole.

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